Il wrestling, si sa, non è uno sport vero e proprio. Al di là delle gesta atletiche esistono dei copioni, che i wrestler devono seguire alla lettera se non vogliono giocarsi il posto di lavoro. Tutto in WWE è rigorosamente stabilito: che si tratti di cosa dire al microfono, o di quale sequenza esatta di mosse eseguire durante un incontro.
Un tempo non era così. Senza andare troppo indietro negli anni, persino durante la recente “Attitude Era” i lottatori godevano ancora di una liberà molto più ampia, sia nei promo che durante i match. Il wrestling era ancora un’arte, che premiava le capacità di improvvisazione di chi realmente aveva l’X-Factor, che poteva così emergere al di là dei ruoli previsti per lui dalla compagnia. Non dimentichiamoci di un certo Stone Cold Steve Austin, arruolato dalla WWE per essere poco più che un mid-carder, ed esploso grazie al suo carisma, favorito dalla libertà di sfoderare il meglio di sé, senza vincoli o divieti imposti dalla dirigenza.
Oggi invece i wrestler WWE sono dei meri esecutori senza anima. Al di là delle loro più o meno spiccate capacità atletiche, sono solo degli attori, costretti a recitare dei copioni scritti dalle peggiori menti creative che abbiano mai gestito questo sport-spettacolo. E, come ci insegna Hollywood, un ottimo attore che recita un pessimo copione non solo inscena un pessimo spettacolo, ma mette a repentaglio la sua stessa credibilità.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? Semplice, è mancata la competizione. Dopo la chiusura della ECW, della WCW e il fallimento della TNA nella sua rincorsa tra il 2005 e il 2010, la WWE è rimasta completamente da sola, senza nessuno in grado di competere con essa, con la conseguenza che nel giro di pochi anni la situazione è precipitata.
Forte della sua posizione di egemonia, la WWE ha iniziato via via ad adottare politiche sempre più stringenti, sia dal punto di vista contrattuale, sia dal punto di vista creativo, costringendo i wrestler a consegnare nelle mani della Federazione ogni aspetto del proprio personaggio. Dopotutto, quale alternativa avrebbero potuto valutare? Ed è così che la WWE ha iniziato ad imporre ai wrestler e al proprio pubblico un prodotto sempre più “controllato”, dove i lottatori sono diventati intercambiabili, in quanto semplicemente esecutori di copioni. “Non ti sta bene quello che stai facendo? Nessun problema, da domani te ne stai a casa e ci sarà qualcun altro pronto a prendere il tuo posto. Andrai a lottare in qualche palestra con 30 spettatori, oppure te ne potrai andare in Giappone a prendere le mazzate, quelle vere, o in Europa a svenderti per pochi Euro”. Questo è il ricatto che fino ad oggi ha costretto i migliori wrestler del mondo a scendere a compromessi.
Ma dove sarebbero mai arrivati un Macho Man, un Ultimate Warrior o un Jake Roberts nella WWE di oggi? Sarebbero finiti nel mucchio, prigionieri di promo scritti in un linguaggio che impietosisce anche i bambini di 8 anni, costretti ad eseguire gli ordini di “producer” che impongono dove e quando eseguire un suplex o una DDT, o forse non sarebbero nemmeno arrivati al Main Roster e sarebbero stati tagliati a NXT perché troppo “ribelli” per il conformismo di questa epoca.
La triste realtà è proprio questa. Oggi chi domina le scene lo fa solo perché qualcuno dall’alto lo ha deciso, non perché abbia fatto breccia nel pubblico o perché sia emerso per meriti propri. Roman Reigns è l’emblema di tutto ciò. Un wrestler mediocre che è stato imposto contro la volontà del pubblico per anni e anni, e del quale in pochi sentirebbero la mancanza se domani dovesse ritirarsi. Viceversa ancora oggi si sentono puntualmente cori che inneggiano a CM Punk, probabilmente l’ultimo vero talento dell’era moderna ad aver veramente conquistato il pubblico per il suo carisma e la sua capacità unica di interpretare un match.
Se analizziamo il roster WWE di oggi, non c’è nessun wrestler in grado di fare la differenza, nessuno che se dovesse mancare improvvisamente dall’oggi al domani costringerebbe la WWE ad accusare il colpo. Ed è proprio questo l’obiettivo centrato da Stamford, quello di rendere tutti utili, ma nessuno indispensabile, in modo da poter tenere sempre e comunque il coltello dalla parte del manico. Il caso CM Punk è stato una lezione importante per Vince McMahon: nessuno dovrà mai più godere di una popolarità che vada oltre ciò che la WWE può permettersi di perdere.
Ma tutto questo avrebbe avuto un senso e avrebbe potuto funzionare in eterno, nella sua mediocrità, solo se fosse perdurato il monopolio perfetto. Purtroppo il disegno dei McMahon non poteva prevedere l’entrata in gioco della AEW, che in pochi mesi, dal nulla, ha mostrato al mondo di poter finalmente essere la forza in grado di creare l’alternativa a questa situazione, che sta per compromettere definitivamente il concetto stesso di pro-wrestling nel Nord America.
Perché è inutile negarlo, o puntare il dito come hanno fatto recentemente i commentatori di SKY, verso l’eccessiva alternativa di intrattenimento offerta dalla TV e da Internet. Se il wrestling sta vivendo il suo momento peggiore da 30 anni a questa parte, la colpa è solo ed esclusivamente della qualità del prodotto offerto dalla WWE: ripetitivo, noioso, piatto, al limite per poter essere considerato un insulto verso l’intelligenza dei fan. Solamente in questo ultimo anno, la WWE ha perso in Italia e nel mondo, circa il 30% del proprio seguito.
Lo scossone rappresentato dalla AEW, che con “Double or Nothing” ha riacceso l’interesse di molti verso il prodotto pro-wrestling, è l’unica speranza che ci permette di guardare con fiducia ad una ripresa del movimento. Chi critica, chi sminuisce, chi deride la AEW non ha capito che non si tratta di un tifo da stadio su chi vincerà tra AEW e WWE. Sperare che la AEW abbia successo, oggi significa tifare per il wrestling.
La filosofia di base della All Elite, che ricordiamo ha alle spalle la famiglia Khan, molto più ricca della famiglia McMahon, e soprattutto con numerosi successi alle spalle in varie forme di sport ed intrattenimento, è proprio quella di tornare a far emergere i wrestler talentuosi, lasciandoli liberi di elaborare i propri personaggi, evitando di imporre al pubblico qualcosa che il pubblico ha dimostrato di non gradire.
L’autunno sarà la chiave di volta. Quando la All Elite inizierà a produrre il proprio TV Show sarà veramente una valida alternativa al prodotto WWE, e a quel punto la WWE sarà costretta, se già non lo farà prima, a smetterla di trattare il wrestling come se fosse una sua prerogativa. Il pro-wrestling, e non lo sport-entertainment, deve tornare protagonista, nella sua arte e nelle sue forme, come lo è sempre stato fino a 10-15 anni fa.
Molti wrestler lo hanno già capito, primi tra tutti Chris Jericho, Jon Moxley (Dean Ambrose), Kenny Omega. Ne seguiranno molti altri, e non basterà alla WWE legare a sé tutti i talenti di NXT per 5 anni, come stanno già pensando di fare, perché quando per un wrestler si apre la possibilità di essere se stesso nel fare ciò che ama, i contratti saranno solo un termine da attendere per andarsene e spiegare le ali.
La WWE non fallirà, questo è certo. Tifare per il successo della AEW non significa credere che la WWE sia destinata a fallire. La WWE è un colosso mondiale, che genera utili milionari anche in un periodo di crisi creativa come questo. Ma se qualcuno inizierà a cambiare le regole del gioco, la WWE non potrà stare a guardare, sarà costretta a tornare sui suoi passi, perché ciò che è diventata in questi anni è solo un’involuzione di se stessa. La famiglia McMahon, e Triple-H soprattutto, sanno benissimo cosa devono fare per offrire un prodotto interessante, ma solo con la concorrenza vera di un valido competitor invertiranno la rotta, altrimenti continueranno sulla loro strada forti dei loro contratti milionari e del loro prodotto edulcorato.
A CURA DI ANDREA MARTINELLI
Redazione SpazioWrestling.it